Shankara scrisse commenti sulle dieci Upanishad principali, sui Brahma Sutra e sulla Bhagavad Gita, che rimangono ancora oggi insuperati. Con logica implacabile, riprende uno per uno gli argomenti delle scuole (soprattutto buddiste) che confutavano l’esistenza dell’atman (la Coscienza pura, il Sé), e afferma che questa realtà suprema può essere conosciuta solo attraverso l’esperienza intuitiva.
Nei suoi scritti, Shankara non solo trasmette con logica e profondità la visione della Nondualità, ma fornisce istruzioni dettagliate sulla disciplina spirituale. Espone le pratiche per preparare la mente alla realizzazione spirituale – il Risveglio – che non è un risultato da ottenere, ma uno stato eternamente presente da rivelare.
Nel suo commento al Brahma Sûtra attacca anche i sostenitori del Mimâmsâ, che davano importanza solo alla parte rituale dei Veda, e consideravano secondarie le Upanishad. Secondo loro, la liberazione spirituale poteva essere raggiunta solo attraverso l’esecuzione di cerimonie e rituali.
Contestando le loro tesi, Shankara sviluppa gli aspetti fondamentali del Vedanta con la sua logica perfetta ed esempi concreti.
Ha composto anche testi introduttivi (prakara grantha) dove spiega con grande chiarezza e poesia la visione di Advaita: Tattva Bodha, Âtma Bodha, Vivekacûdâmani, Bhaja Govindam…
La sua prodigiosa conoscenza delle Scritture e la sua influenza spirituale attiravano attorno a sé pubblici sempre più numerosi: ai devoti di Shiva, Vishnu, Devî, agli studiosi, ai sacerdoti, parlava dell’Essere Unico, rivelato in molteplici forme.
<h3>Shankara: l’opera di un riformatore religioso</h3>
Dopo queste conquiste intellettuali, Shankara voleva attirare le masse: questo poteva essere fatto solo attraverso un approccio devozionale. Infatti, i sostenitori degli dei Shiva, Vishnu e Devî (la dea), litigavano, difendendo tutti la supremazia della loro divinità. Era necessario riportarli all’interno della visione non dualistica, la loro fonte comune, e ristabilire l’armonia tra loro mostrando loro che un’Unica Verità è alla base di tutte le forme divine.
Compose più di sessanta inni devozionali (stotra) in onore delle diverse divinità, canti molto melodiosi, con testi pieni di elevazione, carichi di fervore devozionale, che, al di là della forma adorata, si rivolgono al Brahman Supremo. Questi inni sono molto popolari in India e vengono cantati quotidianamente nei templi e nelle case.
Shankara intraprese anche un’opera di riformatore: essendo stato l’induismo macchiato da numerose eresie, le combatté strenuamente e volle ristabilire il significato del rituale, che deve essere soprattutto interiore. Le offerte sono solo il simbolo del sacrificio dell’anima. Codificò anche i culti offerti alle diverse divinità, per conferire loro una certa unità di significato.
Shankara intraprese anche il consolidamento fisico di questo risveglio costruendo templi dedicati a diverse divinità in tutta l’India. Creò anche ordini ascetici (i math) nei quattro angoli dell’India: Jyotir Math a Badari nel nord, Dwaraka a ovest, Puri a est, Shringeri nel sud. Questi monasteri, dove la Tradizione doveva essere insegnata attraverso lo studio dei Veda, dovevano essere diretti da una stirpe di maestri spirituali, i primi dei quali furono quattro grandi discepoli di Shankara. Oggi rimangono luoghi elevati della filosofia di Shankara e garanti della più pura tradizione Advaitin.
Infine, Shankara definisce anche 10 categorie di leader spirituali, che hanno fatto fedeltà alla matematica: sono i loro titoli che indicano a quale matematica sono attaccati i sannyâsîn (monaci). Pertanto, i sannyasîn attaccati alla matematica di Shringeri portano il titolo di “Sarasvati”: questo è il caso di tutti gli swami della Missione Chinmaya, poiché Swami Chinmayananda ha ricevuto sannyâsa da Swami Shivananda, che era lui stesso attaccato a Shringeri. Il suo nome e titolo sono quindi: Swami Chinmayananda Sarasvati.