16 Mar Racconti e leggende dell’India
Questa raccolta ha l’obiettivo di dischiudere una porta che permetta al lettore di entrare in un universo affascinante, e al tempo stesso infinitamente complesso, della sensibilità indiana. Lo spirito moderno è alle volte disorientato nelle storie induiste per via della sovrapposizione di mondi diversi e per via della mancanza delle regole di verosimiglianza, molto care ai nostri classici. Queste caratteristiche non sono il frutto di un estetismo gratuito, bensì segni di una mentalità che cerca sempre di descrivere la vita terrena non per ciò che mostra, ma per ciò che nasconde e che vede l’azione umana costantemente circondata e influenzata da «altre forze», qualificabili come cosmiche. Secondo lo spirito greco la luce del sole è l’ambiente naturale delle sue stesse attività e l’oggetto dei suoi piaceri, per lo spirito induista è invece un velo dorato che gli nasconde meraviglie ardentemente desiderate. Non è nostra intenzione svolgere il lavoro degli eruditi o degli indianisti, ma desideriamo piuttosto suggerire, attraverso alcune storie raccontate in un linguaggio semplice e al tempo stesso vivo, questa chiave indispensabile per la comprensione del genio indiano.
La leggenda della discesa del Gange: La leggenda della discesa del Gange è tratta dal Ramayana di Valmiki, autore dell’epopea originariamente scritta in sanscrito. L’opera racconta la meravigliosa storia di Ganga, la figlia del Re delle Nevi, discesa tra di noi per purificare la terra. La leggenda è illustrata con foto dei famosi bassi rilievi di Mahabalipuram e arricchita con note sul poeta Valmiki. In questo toccante racconto, il simbolismo del mito antico è importante oggi più che mai. La raccolta Racconti e leggende dell’India ha l’obiettivo di dischiudere una porta che permetta al lettore di entrare in un universo affascinante, e al tempo stesso infinitamente complesso, della sensibilità indiana. Lo spirito moderno è alle volte disorientato nelle storie induiste per via della sovrapposizione di mondi diversi e per via della mancanza delle regole di verosimiglianza, molto care ai nostri classici. <p>Queste caratteristiche non sono il frutto di un estetismo gratuito, bensì segni di una mentalità che cerca sempre di descrivere la vita terrena non per ciò che mostra, ma per ciò che nasconde e che vede l’azione umana costantemente circondata e influenzata da «altre forze», qualificabili come cosmiche. Secondo lo spirito greco la luce del sole è l’ambiente naturale delle sue stesse attività e l’oggetto dei suoi piaceri, per lo spirito induista è invece un velo dorato che gli nasconde meraviglie ardentemente desiderate. Non è nostra intenzione svolgere il lavoro degli eruditi o degli indianisti, ma desideriamo piuttosto suggerire, attraverso alcune storie raccontate in un linguaggio semplice e al tempo stesso vivo, questa chiave indispensabile per la comprensione del genio indiano.
Shakuntala o l’anello del ricordo: La storia di Shakuntala, così come la racconta Kalidasa, grande poeta indiano del primo secolo, prima della nostra era, è la storia di una trasformazione. Due personaggi crescono superando prove dolorose. Questi due personaggi troveranno trasformato l’amore, nato nel paradiso dell’infanzia e dell’innocenza, in qualcosa di ben più grande e magnifico, parte di un nuovo paradiso, qualificabile come divino. A questo proposito, è necessario il parallelismo tra i due «viaggi» del re, perché, così come esistono due carri nella storia, quello del regno terrestre e quel regno divino, ci sono «passaggi» ben distinti: il primo, attraverso la foresta, che permette il re di entrare in un mondo di purezza meraviglioso, il secondo, attraverso il cielo, che lo conduce in un universo di luce. Bharat narrerà della loro unione, il «Sostegno», il re che ha dato il suo nome all’India, Bhârat. Ogni amante dell’India, crediamo, amerà l’idea che la storia di Shakuntala, impregnata di una bellezza e di una luce magica, sia all’origine del nome di questo paese. Per introdurre con poche parole l’opera di Kalidasa, è sufficiente riproporre ciò che scriveva Sri Aurobindo in merito al genio creatore della poesia: «Le delizie della vista, i piaceri dell’udito, dell’olfatto, del palato, del tocco, del gusto, la gioia e l’immaginazione, sono il tessuto della sua creazione poetica, e con ciò crea delle meraviglie emozionali e di ideale intellettuale o estetico. Le sue opere hanno come sfondo un paradiso universale di elementi belli. Tutto obbedisce ad una legge di grazia terreste. La moralità diventa estetica. L’intelletto è impregnato dal senso della bellezza da cui si lascia governare. E pertanto, questa poesia non naviga nel languore. Non è, come accade con la poesia dei sensi, un’opera sciropposa appesantita da un eccesso di fronzoli e battiti di ciglia. Kalidasa sfugge a tutto ciò grazie alla castità del suo stile, all’energia e precisione delle sue frasi e grazie alla sua vigilanza artistica sempre attenta.»
Hanuman o il sentiero del vento: Chi non hai mai sognato di saltare al di sopra degli ostacoli? Chi, stanco di lottare all’infinito contro una realtà recalcitrante, non ha desiderato, almeno una volta, che questa lotta, che ci stordisce, finisca per poi potersi librare in alto, con un possente balzo, raggiungendo l’altra parte? Lontano da strade estenuanti che ci distruggono il dorso, imboccando un sentiero leggero, il sentiero del vento. Secondo la mitologia induista, è Hanuman che può indirizzarci su questo sentiero. Per volare sul cammino del vento, bisogna essere vento, e Hanuman è il principe dell’aria, «Vayuputra» o figlio di Vayu, Dio del vento. E chi è il vento se non colui che schernisce gli ostacoli, raggira la resistenza, trova l’entrata e ci penetra, accarezza ciò che deve piegare, colpisce ciò che deve essere rotto, colui che non ha alcuna forma e può assumere qualsiasi forma, che si adatta perfettamente allo spazio che lo circonda, perpetuamente alla misura esatta dell’avversario?
Parvati o l’amore estremo: Si dice che faccia parte del temperamento indiano condurre ogni ricerca sino al punto più estremo ed esplorarne le sue ultime possibilità. Se c’è un’opera che può essere considerata la testimonianza evidente della verità di tale osservazione, è proprio il Kumarasambhava di Kalidasa. In quest’opera ritroviamo, fianco a fianco, l’estremo della rinuncia e l’estremo dell’abbandono al piacere. Solo il genio indiano con il suo gusto innato per il «perseguimento degli estremi più opposti» poteva creare un capolavoro simile. Kumarasambhava: la Nascita di Kumara, questo è il titolo del poema di Kalidasa, il celebre scrittore d’espressione sanscrita. Il tema è il matrimonio di Shiva e Parvati, matrimonio voluto e organizzato dagli Dei in quanto dalla loro unione nascerà un figlio, Dio guerriero, che farà trionfare la forza della luce.
Nalopakhyanam o l’arte della vittoria: Questo racconto, la cui origine si perde nella notte dei tempi e che ritroviamo nel grande poema epico del poeta Vyasa, ci racconta come l’eroismo, guidato dalla saggezza, permetta a due esseri, schiacciati dal peso di circostanze avverse, di emergere vittoriosi da una prova terribile. Questa storia, che comincia e termina come una favola, è tutto meno che un racconto lontano dalla «vita vera», al contrario ci viene presentata dal poeta stesso come una storia che contiene alcune delle verità più profonde e più utili della vita. Sì, è un racconto incantevole nel quale le sofferenze e le gioie vengono designate in modo delicato, un racconto pieno di grande tenerezza e di immensa compassione per la fragilità dell’essere umano e per le sue sofferenze. Tuttavia, si tratta anche di una parabola, le quali potenti immagini ci permettono di capire che le circostanze della vita non contano; è la coscienza ad essere tutto. È senza dubbio vero che il significato esatto di questi simboli non è facilmente percettibile dall’intelletto. Poco importa, queste immagini non sono soltanto impregnate di poesia e di mistero, ma anche di sacralità. È evidente che rimandano a qualcosa di ben più profondo. Nonostante non possano essere «spiegate», ci trasportano in altri mondi, nel mondo vedico, in quello dell’India, in quello dell’antichità. Ci trasportano, soprattutto, in una mentalità completamente differente, per la quale l’immaginazione non è un semplice gioco estetico, ma un modo di esprimere altre verità rispetto l’esistenza fisica. Le verità sono percepite da un occhio che non è quello mentale, e sono rivestite da immagini frementi di vita, come fossero un uccello che abbiamo nel palmo della mano e di cui ne sentiamo battere il cuore. Una mentalità «intuitiva e simbolica», alla quale la mente moderna fortemente intellettualizzata, governata da un lato da ragionamenti e concetti astratti e dall’altro dai fatti della vita così come vengono percepiti dai sensi, è divenuta completamente estranea. Ecco perché la lettura di questo racconto è rinfrescante e l’emozione provata dal lettore è estranea e deliziosa.
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